Come percepiamo il contrasto luminoso? Si è sempre pensato che la sensibilità al contrasto, ossia al livello minimo di bianco o di nero che una persona ha bisogno di rilevare per individuare una differenza, fosse dettata del tutto dall’ottica interna dell’occhio e soprattutto dall’elaborazione del cervello.Tuttavia con un nuovo studio, pubblicato sulla rivista eLife , i ricercatori pongono un altro fattore sul tavolo: i piccoli movimenti oculari che gli occhi fanno in continuazione e dei quali non ci rendiamo nemmeno conto.
Si tratta di una caratteristica dell’occhio che, secondo Michele Rucci dell’Università di Rochester, uno degli autori dello studio, è stata storicamente ignorata, a tratti ritenuta irrilevante, ma che tuttavia contribuisce “alla visione in molti modi diversi, inclusa la nostra funzione di sensibilità al contrasto.”Proprio perché così minimali, sono sempre stati ritenuti poco rilevanti ma secondo Rucci risultano invece molto importanti in quanto questi movimenti continui, anche se molto piccoli, hanno comunque un enorme impatto sui fotorecettori della retina e riescono anche a cambiare l’input rilevato dall’occhio stesso.
Questi piccoli movimenti non fanno altro che cambiare continuamente il segnale ricevuto dalla retina rinfrescando l’immagine in modo che non svanisca. Se uno schema spaziale viene infatti proiettato con un’immagine stazionaria, in sostanza se la scena che stiamo osservando è fissa e non cambia, comincerebbe infatti a svanire alla vista una volta che i fotorecettori cominciano a diventare non più sensibili al segnale.Nell’articolo di presentazione dello studio sul sito dell’Università si fa poi l’esempio del tatto per far comprendere il concetto: quando vogliamo raccogliere informazioni tramite questo senso, non ci limitiamo a posizionare i polpastrelli sulla superficie dell’oggetto stesso ma tendiamo a sfregarli e a muoverli lungo l’oggetto, acquisendo dunque un maggior numero di informazioni. Un simile meccanismo vale anche per la visione, come specifica Antonino Casile, ricercatore presso l’Istituto Italiano di Tecnologia e coautore dello studio.
Per arrivare a questo risultato ricercatori si sono avvalsi di varie sperimentazioni in cui mostravano delle griglie con strisce bianche e nere a vari partecipanti e rendevano queste strisce più sottili o meno sottili fino a quando i partecipanti stessi non riuscivano più a vedere differenze (non vedevano più le barre separate). Hanno poi simulato lo stesso compito al computer e hanno scoperto che la sensibilità al contrasto come quella di partecipanti agli esperimenti vigeva solo quando si includevano, nella simulazione, i movimenti oculari.