Coronavirus: Il parere di un oculista di Bergamo

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Coronavirus: Il parere di un oculista di Bergamo

Il Prof. Mario Romano ci parla degli aspetti oculari dell’infezione da COVID19 e ci descrive come vive l’emergenza da pandemia il dipartimento di Oftalmologia dell’Humanitas Gavazzeni/Castelli di Bergamo.

Tutto il nostro paese sta vivendo un’emergenza che per drammaticità e gravità è comparabile solamente a quelle dei periodi bellici. Nell’immaginario di noi tutti, molto probabilmente, i fotogrammi che sono rimasti più impressi e che hanno sconvolto più profondamente la nostra emotività sono quelli dei camion dell’esercito che a Bergamo prelevavano le salme dei pazienti deceduti in numero ormai superiore alle capacità di gestione dello stesso crematorio.Le parole in una simile tragedia possono risuonare vuote e fastidiose, ma abbiamo pensato che per tutti noi potesse essere preziosa la testimonianza diretta, professionale ed umana, di un oculista, il Prof. Mario Romano, che opera proprio in uno dei più grossi epicentri dell’infezione, poiché dirige il dipartimento di Oftalmologia dell’ospedale Humanitas Gavazzeni/Castelli di Bergamo.

O.I. Prof. Romano provi a raccontarci cosa si prova ad essere “medico” in un contesto dove la scienza sembra non saper dare ancora le risposte a cui ci aveva abituato il progresso della ricerca farmacologica, della terapia medica e genetica negli ultimi decenni.Sintetizzo il mio pensiero in una frase: “Fine del delirio di onniscienza”. Possiamo solo contenere o lasciarci colpire. Vediamo una comunità che unita lotta, piange, si stringe davanti a un nemico invisibile, in attesa della ripartenza. Ripartenza che purtroppo alcuni non vedranno, come non vedranno l’ultimo saluto dei cari, l’ultimo abbraccio che anche il peggiore dei nemici non nega.Il COVID-19 purtroppo va oltre, costringendo un frate a dare conforto mettendo il telefono sulle salme e pregando con i parenti delle vittime in remoto. Il vero valore di tanto sacrificio sarà la netta percezione che una comunità è entrata in comunione, che la solidarietà e l’unione ha prevalso, che le cose che davvero contano sono davvero poche.

O.I. Può dirci qualcosa del coinvolgimento del distretto oculare nell’infezione da COVID19?Siamo in fase di pieno sviluppo della pandemia, quindi, le nostre affermazioni possono basarsi solo sui dati finora acquisiti. Al momento si ritiene possibile la trasmissione per via congiuntivale, ma non si conoscono tutti i possibili coinvolgimenti oculari del virus.Si conoscono, però, numerosi interessamenti oculari (congiuntivite, uveite, neurite, retinite) in modelli animali ed è stato riportato un caso di congiuntivite e bronchiolite in paziente affetto da CoV-NL639.Se consideriamo le strutture e la distribuzione dei recettori cellulari nei sistemi oculari e respiratori, possiamo considerare ipotizzabile che nell’infezione da SARS-CoV-2 ci sia un rischio di trasmissione attraverso la via lacrimale e congiuntivale.Nonostante l’infezione da SARS-CoV-2 abbia origini recenti, sono già stati effettuati i primi studi, anche se su campioni piuttosto ridotti, su pazienti risultati positivi all’infezione da SARS-CoV-2 per la ricerca del nuovo coronavirus nelle lacrime e nelle secrezioni congiuntivali. In particolare, uno studio pubblicato il 19 febbraio 2020 sul Journal Of Medical Virology, ha ipotizzato che il nuovo virus possa essere rilevato nelle secrezioni congiuntivali dei pazienti positivi con congiuntivite. I ricercatori sono riusciti, infatti, ad isolare RNA virale a livello lacrimale e congiuntivale, mediante tecnica di reverse transcription PCR (RT-PCR), in un paziente positivo affetto da congiuntivite; nessuno dei pazienti senza congiuntivite, invece, presentava RNA virali a livello oculare.Inoltre non trascurabili potrebbero essere i potenziali danni associati alle terapie ad oggi utilizzate per i pazienti degenti, ed in particolare ritonavir ed idrossiclorochina che da Letteratura sono associati a danni dell’epitelio pigmentato retinico e teleangectasie etc.

O.I. In base a quanto ci ha appena illustrato, quanto può essere rischiosa per i medici oculisti una visita ad un paziente di cui non è ancora nota la positività al COVID19?Possiamo sicuramente affermare che sottoporre a visita oculistica i pazienti, infettati da SARS-CoV-2, anche asintomatici, comporta un rischio di contrarre l’infezione. In Letteratura sono già stati riportati molti casi di oculisti contagiati durante visite di routine.Il SARS-CoV-2 è un patogeno altamente contagioso e viene trasmesso principalmente attraverso il contatto diretto o indiretto con persone infette, mediante secrezioni respiratorie (droplets) attraverso tosse o starnuti; queste droplets possono, infatti, venire in contatto con mucose di persone che si trovano nelle vicinanze ed essere, quindi, inalate nei polmoni.Il tratto respiratorio, tuttavia, non è probabilmente l’unica via di trasmissione del nuovo SARS-CoV-2 ed è per questo che tutti i medici dovrebbero indossare DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) adeguati nel caso di visite di casi sospetti, tenendo anche in considerazione che il virus potrebbe essere presente sulle superfici sulle quali dai primi dati presenta un’emivita differente: meno di 3 ore in aerosol, 3,5 ore sul rame, meno di ore su cartone, 13 ore sull’acciaio e 16 ore sulla plastica.Per la misurazione della pressione oculari si raccomanda di disinfettare accuratamente la punta del tonometro con soluzioni alcoliche al 70%, che sembrano sufficienti ad eliminare il SARS-CoV-2. Tuttavia, poiché l’alcol non sarebbe sufficiente a rimuovere gli adenovirus, la soluzione migliore può essere l’utilizzo di punte monouso del tonometro. Anche la sanificazione con candeggina può costituire una pratica sicura e accettabile. L’opzione migliore è costituita certamente dall’utilizzo del tonometro no contact.Quando si utilizza la lampada a fessura, si determina un contatto ravvicinato con il paziente, gli oculisti dovrebbero, quindi, indossare degli occhiali di protezione

O.I. Come gestite il triage dei pazienti nel dipartimento di Oftalmologia durante questa emergenza?Presso il nostro ospedale effettuiamo due tipologie di triage:

  • Triage telefonico: i pazienti che necessitano di un consulto oculistico vengono sottoposti telefonicamente ad una serie di domande prima di presentarsi in ospedale, allo scopo di ridurre al minimo il numero di persone che affluisce al controllo oftalmologico in struttura. L’obiettivo è di riprogrammare gli appuntamenti con i pazienti oculistici, accettando solamente le emergenze.I pazienti dovrebbero essere sottoposti ad alcuni quesiti per il triage anche prima di accedere alla sala di attesa, in merito a sintomi che potrebbero essere connessi all’infezione da COVID-19, quali: febbre, tosse, dispnea, mialgia, anosmia (perdita della capacità di percepire gli odori) o affaticamento. Sono da verificare anche sintomi meno frequenti quali espettorato, mal di testa, emottisi e diarrea.Si tenga conto che alcuni pazienti si presentano al pronto soccorso oculistico proprio per congestione congiuntivale.
  • Triage pazienti: per tutti coloro che accedono in ospedale, sia dall’ingresso principale che attraverso le tende per il triage, si raccomanda questa procedura: misurazione della temperatura, disinfezione della mani e consegna al paziente di maschera chirurgica facciale (SM) e di guanti. Se il paziente risulta positivo ai sintomi o ha la febbre, viene invitato a ritornare a casa e a chiamare i numeri dedicati in modo che il personale sanitario adeguatamente addestrato possa recarsi presso il domicilio del paziente a testarne la positività al COVID-19.

O.I. Vuole raccontarci come i suoi collaboratori, soprattutto i più giovani, vivono questa emergenza?I medici e gli infermieri con le competenze specifiche internistiche e di rianimazione in questa pandemia si sono trovati da un momento all’altro in trincea ed a loro va un sentimento di gratitudine da parte di tutti per il grande senso di responsabilità e capacità di sacrificio.In una situazione in cui il personale sanitario di “prima linea” non è sufficiente a contenere la pandemia, in moltissimi hanno dato adesione volontaria a prestare compiti diversi da quelli abituali, ma comunque utile e necessari per affrontare l’emergenza.

O.I. Il vostro dipartimento di oculistica ha subito una riorganizzazione del proprio personale?La riorganizzazione del personale è stata una necessità imposta dall’emergenza.Dal momento che il numero di attività ambulatoriale è quasi azzerato con l’eccezione di sporadiche emergenze, alcuni componenti del personale del dipartimento di Oftalmologia, su base volontaria, sono stati riassegnati a reparti differenti, con attività prevalentemente amministrativa e di supporto, in base alle necessità e previo training specifico.In una potenziale riorganizzazione un aspetto fondamentale è la suddivisione dello staff in team nettamente distinti: il primo che lavora con pazienti COVID-19+ e il secondo con pazienti COVID-19-, i due team devono essere mantenuti assolutamente separati allo scopo di minimizzare il rischio di contagio.In particolare, i colleghi che sono a contatto con persone a maggior rischio (incluse donne incinte, persone immunodepresse o pazienti in condizioni molto precarie di salute) dovrebbero essere allocati in area a basso rischio di infezione.

O.I. Vogliamo chiudere con un messaggio di speranza: cosa si sente di dire ai nostri lettori?Fortunatamente conserviamo tutti uno slancio di positiva pianificazione del futuro prossimo e remoto, colmi di un esistenzialismo positivo che alimenta la nostra inconsapevole ricerca di tracce divine nell’aiuto del prossimo, risonanza di gioia, amore e serenità. E così tutti, ammalati guariti, medici, infermieri, non contagiati, tutti porteranno dentro, alla fine di questa profonda esperienza, una consapevolezza di essere uomini migliori.È questa la sola speranza, è questo l’augurio che possiamo oggi cogliere guardando avanti in modo confidente.

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